CRISI UCRAINA - IL FALLIMENTO DI UNA POLITICA MIOPE

Per affrontare la lettura dell’attuale grave situazione di conflitto in Ucraina, a seguito dell’invasione della Russia, ci sono – secondo me – alcune considerazioni preliminari che riguardano da vicino noi cittadini e cittadine dell’Unione europea e che oggi è importante non sottovalutare.
Il processo di integrazione dell’Unione europea sta scoprendo le proprie debolezze. Non si tratta di una consapevolezza maturata nelle ultime settimane, ma dell’eredità decennale di scelte monetarie e commerciali che non hanno saputo stare al passo con una reale coesione politica e sociale dei Paesi membri: decenni di asimmetrie economiche e finanziarie venutesi a creare tra i paesi aderenti, cui fisiologicamente sono conseguite tensioni sociali, nonché la crescita di consenso dei movimenti populisti, hanno esacerbato la difficoltà di trovare una convergenza di intenti e di politiche tra i principali attori del processo di unificazione europea.
Oggi, si registra l’urgenza, necessaria e ineludibile, di completare l’unione monetaria con l’unione politica – un desiderio che storicamente si è scontrato, in molti settori, con la ritrosia degli Stati a cedere parte della propria sovranità nazionale a favore del livello unionale. L’Unione europea e i suoi meccanismi, in più occasioni, si sono rivelati deboli e paralizzati da un modello istituzionale e politico ibrido che non sta reggendo gli stress sociali, umanitari, economici, pandemici e ora militari del nostro tempo.
I Paesi dell’Unione registrano tendenze demografiche preoccupanti, che hanno portato la quasi totalità dei sociologi a prevedere catastrofiche conseguenze sul nostro sistema sociale e economico. Come europei siamo sempre di meno, sempre più anziani e, spesso, più divisi: un mix che si traduce nell’estrema debolezza dimostrata durante la crisi dell’euro (Grecia), quella umanitaria dovuta all’immigrazione, ma anche durante la crisi pandemica da Covid-19 e quella legata all’ambiente e al surriscaldamento globale.
I nostri standard di vita, le norme che regolano la quotidianità degli europei e la atavica abitudine a procrastinare scelte cruciali per il nostro futuro hanno lasciato che la Cina, ad esempio, diventasse la “fabbrica del mondo” e che invadesse commercialmente l’Africa con un enorme piano di investimenti che sfrutta tutte le risorse di quel territorio, risorse di cui noi non disponiamo e di cui ce ne siamo, per anni, disinteressati, oltre che Paesi dei Balcani come Montenegro e Serbia definiti da editori e analisti come “Stati clienti” cinesi.
Mentre in Italia e negli altri Paesi dell’Unione si discuteva di temi ideologici, come l’uscita dell’Italia dall’Ue auspicata da Partiti e politici che oggi si ergono a paladini di pace, diplomazia e dialogo, sono cresciuti veri e propri colossi economici come la già citata Cina, ma anche l’India e la Russia: economie squilibrate, fuori controllo e noncuranti degli aspetti umani ai quali noi, per fortuna, ancora crediamo.
In America, dall’elezione di Obama, fino ad arrivare all’apice del trumpismo, gli americani hanno votato chiedendo sempre più ad alta voce il disimpegno militare ed economico in territori lontani: un mandato che ha spinto le diverse amministrazioni a ricercare forme di autosostentamento e a disinteressarsi dei temi legati al ruolo di egemone che, ancora oggi, gli Stati Uniti ricoprono.
Non aver saputo leggere questi cambiamenti, non essersi dotati di strumenti per affrontare queste e altre criticità dell’epoca che stiamo vivendo ci ha guidato inesorabilmente verso un precipizio.
In tutto questo, Putin e la “sua” Russia ha capito e ha colto le nostre debolezze, le nostre divisioni e le nostre “dipendenze” e da anni, non da oggi, sta forzando l’ordine mondiale formatosi dopo la Guerra Fredda.
L’Ucraina è solo il campo di battaglia di una guerra che Putin ha avanzato e sta avanzando contro un Occidente più debole e diviso che mai.
In questi anni, obnubilati da una classe politica sempre più scarsa e vorace, abbiamo completamente trascurato la questione energetica abbandonando l’energia nucleare e diventando i principali clienti di Stati illiberali o instabili come Russia, paesi del Nord Africa e del Medioriente, senza porci mai il tema dell’autonomia energetica europea che non può che essere garantita da un mix tra energia nucleare, gas naturale europeo e fonti rinnovabili, che richiedono forti investimenti sia sulle tecnologie che sull’infrastruttura elettrica.
Come può leggere, non risparmio critiche all’Occidente e all’Europa, che di errori ne hanno fatti in tutti i campi. La questione dell’Oggi, però, ci deve dare la forza per completare il percorso unitario europeo, in ottica federativa almeno per i Paesi fondatori, che si sviluppi attorno ad una logica legata alle diverse velocità economiche e sociali dei singoli Stati: i più veloci, Paesi fondatori, ora devono mettere in comune le proprie forze di Difesa e iniziare davvero il percorso federativo verso gli Stati Uniti d’Europa; i più lenti, di successiva adesione, devono il prima possibile raggiungere livelli omogenei su tutti i pilastri di Stati europei, moderni e civili.
L’esperienza di dipendenza dal gas russo ci deve presto far agire per ricostruire, ovunque possibile, filiere industriali europee meno esposte alle fluttuazioni di mercati che non possiamo controllare; filiere che puntino alla sostenibilità ambientale ed economica e che vedano nel nucleare di ultima generazione una risorsa per la transizione ecologica.
Nel frattempo, io credo sia nostro dovere aiutare, nell’ambito dei trattati internazionali vigenti, un Paese libero di autodeterminarsi e libero di resistere ad un’invasione premeditata che sta infrangendo ogni elemento di diritto internazionale del sistema che regola i rapporti tra gli Stati.
Cedere a questo tipo di invasioni vorrebbe dire dare il via libera all’anarchia internazionale e darebbe la possibilità a Paesi poco affidabili di sfidare l’ordine mondiale, aprendo a scenari, economici e di guerra, devastanti e a cui non voglio nemmeno pensare.
Occorre però anche mettere in campo ogni sforzo diplomatico per fermare questa barbarie e per scongiurare un ulteriore catastrofico allargamento del fronte che trascinerebbe il mondo intero in un conflitto ancora più devastante.