I prossimi due mesi saranno per me molto impegnativi e carichi di emozioni, perché sarò candidato come frontman di Azione per governare Regione Lombardia. Sono felice, determinato e grato che Azione, Italia Viva e le realtà civiche del nostro progetto abbiano riconosciuto il lavoro che abbiamo fatto in questi anni e che abbiano condiviso le battaglie portate avanti durante la legislatura che sta per chiudersi, perché questa mia candidatura ha l’ambizione di essere il certificato di garanzia sul nostro modo di vedere la Lombardia. Sui temi che tutti conoscete, sui metodi che avete avuto modo di osservare e sugli strumenti che intendiamo utilizzare per ridare slancio ad una Regione che sembra averlo perso. Voglio iniziare ringraziando i tanti elettori e militanti che hanno speso, per me, una buona parola e un deciso sostegno in quello che oggi diventa un progetto di serio e concreto rinnovamento della politica regionale. Nella scelta di indicare la mia persona come frontman di Azione c’è condivisione del lavoro fatto, c’è fiducia nella politica che porto avanti e c’è un messaggio, non scontato e banale, per i giovani e per tanti elettori “riformisti” che non si riconoscono certo nell’abbraccio mortale tra PD e 5Stelle.Per i progetti costruiti dal basso con le associazioni, con il terzo settore e con i comitati che ho incontrato nella mia breve, ma intensa attività politica. Per l’azione di rappresentanza dei meno rappresentati nelle case Aler o dei lavoratori e studenti pendolari. Per il vincolo generazionale e ambientale che ho imposto in ogni mia iniziativa politica. Per le battaglie emergenziali in favore delle famiglie inascoltate durante il periodo del Covid, soprattutto in Val Seriana. Per tutti coloro che si sono sentiti rappresentati durante questi 5 anni di alti e bassi. Anni difficili, importanti, formativi. Anni di grande frustrazione, di paura, di angoscia credo un po’ per tutti. Sento ancora nello stomaco la tensione di quel dannato 2020. Di quei mesi passati in casa, davanti al pc col telefono in mano, per provare a rispondere a chi – qualcuno sicuramente starà leggendo ora – chiedeva risposte, ossigeno, mascherine, assistenza, cure e ascolto. Vedo ancora il soffitto nero delle notti insonni legate alla preoccupazione di accendere il telefono il giorno dopo e non arrivare in tempo, alla paura di non sapere dare risposte, al timore di non essere in grado. Emozioni potenti, che ho trasformato – con l’aiuto di tanti giovani e tanti professionisti – in un Progetto di Legge sullo Psicologo di Base che la maggioranza vuole bloccare, ma che difenderò con le unghie e con i denti. Un servizio per tutti, per rispondere e combattere il buio di quei mesi, che resteranno impressi per sempre nella storia della nostra città, provincia e regione. Ho aderito ad Azione per dare un calcio alla politica qualunquista, populista e sovranista, che indebolisce il nostro Paese e la nostra Regione e sono ancora convintamente qui perché – nel bene e nel male – da oggi inizia il percorso di riscatto con l’unica area politica che ha avuto il coraggio di fidarsi di un giovane trentenne che prova – con tutti i suoi limiti – a essere garante dei temi e delle battaglie che ci legano e che da più di 5 anni lavora pancia a terra sul territorio, non solo quando c’è la campagna elettorale. Ho fatto opposizione nella maniera che tutti/e avete imparato a conoscere: con proposte di buon senso e raccolte dal territorio, con lavoro trasversale per raggiungere i risultati e non solo per sventolare la mia bandierina. Ho votato NO alle tante scelte fatte dalla Regione, ho votato convintamente la sfiducia a Fontana e ho contestato – forse come nessun altro collega – la gestione del Covid e delle vaccinazioni nella prima campagna. Ho proposto dal primo giorno di fare come nei Paesi normali: una gara per l’affidamento del servizio ferroviario che oggettivamente non funziona. Ho provato a rappresentare Bergamo, i suoi mondi eterogenei, dalle associazioni di volontariato agli inquilini abbandonati delle case Aler, dagli amministratori locali agli imprenditori. Ho visto con i miei occhi la volontà di non cambiare niente. Ho lavorato 5 anni per indebolire la Destra, per sbugiardarla davanti ai cittadini, per dimostrare di saper portare a casa qualche risultato (perché è quello che gli elettori si aspettano dalla politica). Una fatica immensa, una frustrazione unica vedere tante volte pochi compagni di viaggio davvero convinti alle mie spalle. Per questo oggi posso rivendicare con orgoglio senza la scusa della tattica, il mio lavoro di Consigliere Regionale. Perché sono consapevole di avere alle mie spalle un partito e un grande gruppo di dirigenti e militanti pronto a sostenermi per rilanciare ancor più in alto l’idea che abbiamo di Regione Lombardia. Per dire con fierezza: non con Fontana, non con i 5 Stelle, ma PER la Lombardia. Con i nostri temi, con la nostra stessa voglia di cambiare la politica italiana partendo da qui. Partendo da NOI. E se anche aveste qualche dubbio, ma vi fidate di me vi chiedo di usare questi giorni per riflettere, per leggere le nostre proposte e per ogni dubbio sapete dove trovarmi, vicino a voi, sempre con lo zaino in spalla.
Ps. Sarò candidato come Consigliere regionale sicuramente anche sul mio collegio di Bergamo (per cui servirà scrivere il mio nome )
Carlo Calenda e la Segreteria Nazionale di Azione mi hanno chiesto la disponibilità a rappresentare la Lista del Terzo Polo nel collegio Uninominale e come capolista nel collegio plurinominale. Entrambe candidature per la Camera dei Deputati e sul territorio di Bergamo. Ho accettato con grande entusiasmo, senso di responsabilità e con il doveroso dubbio di esserne all’altezza. La pessima pagina politica che ha portato alla chiusura del Governo Draghi ha segnato, in me, la grande consapevolezza che qualcosa, nel Paese, fosse cambiato. Una sorta di spartiacque che non si vedeva da anni nella politica italiana. Un nuovo capitolo che non per forza sarà migliore, ma che è ancora tutto da scrivere e che dipenderà da noi, da tutti noi. Da qui la scelta di mettersi in gioco, in una partita che durerà due tempi con le regionali dell’anno prossimo che non possono essere relegate ad elezioni di Serie B. Abbiamo il trasporto ferroviario allo sbando da anni, la sanità di territorio che non esiste più, la produttività che sta subendo un durissimo rallentamento e tutti gli altri problemi di cui vi parlo da tempo – quasi quotidianamente. Mettersi in gioco, in un territorio come quello di casa è ancor più stimolante e bello; farlo nonostante si tratti di una sfida terribilmente difficile, renderà questa esperienza, per me e per chi vorrà esserci, davvero unica. Un percorso che sarebbe monco senza il supporto dei tanti e tante militanti di Azione. Sono felice, inoltre, che la mia candidatura si collochi all’interno di un progetto nuovo come quello del Terzo Polo, che intende abbracciare il mondo civico rappresentato dalla Lista Civica Nazionale e che si pone un orizzonte capace di andare oltre al 25 settembre insieme a Italia Viva; un percorso coraggioso e libero dagli schemi della vecchia politica che, ripeto, per me non esistono più dopo le vicende che hanno portato alla caduta del Governo Draghi. Non ho dubbi. Gli avversari politici sono proprio quei partiti e quei politici che hanno voltato le spalle agli italiani nel momento peggiore possibile: nel mezzo di una pandemia, con una guerra alle porte dell’Europa e con un’instabilità economica che non si vedeva da decenni. Gli avversari sono, da sempre e per forza, il sovranismo e il populismo – politiche lontane dagli interessi degli italiani e dell’Europa. Ma gli avversari sono anche e soprattutto quei partiti che fingendosi governisti, istituzionali e moderati guadagnano potere sotto l’ombrello del politico che va più di moda. Ieri Salvini, oggi Meloni. Bergamo, la città e la provincia, gli imprenditori e le imprenditrici, i lavoratori e le lavoratrici, i giovani e le giovani, i più fragili e le più fragili potranno trovare in me un alleato trasparente, appassionato e concreto, che con tutti i suoi limiti, studia e ascolta. Che propone e, quando serve, alza la voce. Eccomi qui, dunque. A disposizione del mio Paese, della mia città, del mio territorio e del mio partito per una sfida difficilissima, ma certamente non priva di carica emotiva. Bergamo ha bisogno di essere rappresentata da un bergamasco, che deve essere legittimato dal proprio territorio. Se i bergamaschi lo vorranno, per me sarà un onore. Non ho altro da offrire se non tutto me stesso. In questo breve, ma intenso viaggio sono onorato e orgoglioso di avere con noi Andrea Moltrasio, una persona splendida, di una intelligenza sopraffina e profondo conoscitore del mondo delle aziende e non solo, ma anche di avere al mio fianco Enrico Zucchi, Segretario Provinciale di Bergamo in Azione e membro della segreteria regionale con tutta la squadra bergamasca, fatta di passione e competenze che sono sicuro crescerà sempre più nei prossimi appuntamenti, che ringrazio di vero cuore.
Signor Presidente,
Onorevoli Senatrici e Senatori,
Giovedì scorso ho rassegnato le mie dimissioni nelle mani del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Questa decisione è seguita al venir meno della maggioranza di unità nazionale che ha appoggiato questo Governo sin dalla sua nascita. Il Presidente della Repubblica ha respinto le mie dimissioni e mi ha chiesto di informare il Parlamento di quanto accaduto – una decisione che ho condiviso. Le Comunicazioni di oggi mi permettono di spiegare a voi e a tutti gli italiani le ragioni di
una scelta tanto sofferta, quanto dovuta.
Lo scorso febbraio, il Presidente della Repubblica mi affidò l’incarico di formare un governo per affrontare le tre emergenze che l’Italia aveva davanti: pandemica, economica, sociale. “Un governo” – furono queste le sue parole – “di alto profilo, che non debba identificarsi con alcuna formula politica”. “Un Governo che faccia fronte con tempestività alle gravi emergenze non rinviabili”. Tutti i principali partiti – con una sola eccezione – decisero di rispondere positivamente a quell’appello. Nel discorso di insediamento che tenni in quest’aula, feci esplicitamente riferimento allo “spirito repubblicano” del Governo, che si sarebbe poggiato sul presupposto dell’unità nazionale.
In questi mesi, l’unità nazionale è stata la miglior garanzia della legittimità democratica di questo esecutivo e della sua efficacia. Ritengo che un Presidente del Consiglio che non si è mai presentato davanti agli elettori debba avere in Parlamento il sostegno più ampio possibile. Questo presupposto è ancora più importante in un contesto di emergenza, in cui il Governo deve prendere decisioni che incidono profondamente sulla vita degli italiani. L’amplissimo consenso di cui il Governo ha goduto in Parlamento ha permesso di avere quella “tempestività” nelle decisioni che il Presidente della Repubblica aveva richiesto. A lungo le forze della maggioranza hanno saputo mettere da parte le divisioni e convergere con senso dello Stato e generosità verso interventi rapidi ed efficaci, per il bene di tutti i cittadini.
Grazie alle misure di contenimento sanitario, alla campagna di vaccinazione, ai provvedimenti di sostegno economico a famiglie e imprese, siamo riusciti a superare la fase più acuta della pandemia, a dare slancio alla ripresa economica. La spinta agli investimenti e la protezione dei redditi delle famiglie ci ha consentito di uscire più rapidamente di altri Paesi dalla recessione provocata dalla pandemia. Lo scorso anno l’economia è cresciuta del 6,6% e il rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo è sceso di 4,5 punti percentuali. La stesura del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, approvato a larghissima maggioranza da questo Parlamento, ha avviato un percorso di riforme e investimenti che non ha precedenti nella storia recente. Le riforme della giustizia, della concorrenza, del fisco, degli appalti - oltre alla corposa agenda di semplificazioni – sono un passo in avanti essenziale per modernizzare l’Italia. A oggi, tutti gli obiettivi dei primi due semestri del PNRR sono stati raggiunti. Abbiamo già ricevuto dalla Commissione Europea 45,9 miliardi di euro, a cui si aggiungeranno nelle prossime settimane ulteriori 21 miliardi – per un totale di quasi 67 miliardi.
Con il forte appoggio parlamentare della maggioranza e dell’opposizione, abbiamo reagito con assoluta fermezza all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. La condanna delle atrocità russe e il pieno sostegno all’Ucraina hanno mostrato come l’Italia possa e debba avere un ruolo guida all’interno dell’Unione Europea e del G7. Allo stesso tempo, non abbiamo mai cessato la nostra ricerca della pace – una pace che deve essere accettabile per l’Ucraina, sostenibile, duratura. Siamo stati tra i primi a impegnarci perché Russia e Ucraina potessero lavorare insieme per evitare una catastrofe alimentare, e allo stesso tempo aprire uno spiraglio negoziale. I progressi che si sono registrati la settimana scorsa in Turchia sono incoraggianti, e auspichiamo possano essere consolidati.
Ci siamo mossi con grande celerità per superare l’inaccettabile dipendenza energetica dalla Russia – conseguenza di decenni di scelte miopi e pericolose. In pochi mesi, abbiamo ridotto le nostre importazioni di gas russo dal 40% a meno del 25% del totale e intendiamo azzerarle entro un anno e mezzo. È un risultato che sembrava impensabile, che dà tranquillità per il futuro all’industria e alle famiglie, rafforza la nostra sicurezza nazionale, la nostra credibilità nel mondo. Abbiamo accelerato,
con semplificazioni profonde e massicci investimenti, sul fronte delle energie rinnovabili, per difendere l’ambiente, aumentare la nostra indipendenza energetica. E siamo intervenuti con determinazione per proteggere cittadini e imprese dalle conseguenze della crisi energetica, con particolare attenzione ai più deboli. Abbiamo stanziato 33 miliardi in poco più di un anno, quasi due punti percentuali di PIL, nonostante i nostri margini di finanza pubblica fossero ristretti. Lo abbiamo potuto fare grazie a una ritrovata credibilità collettiva, che ha contenuto l’aumento del costo del debito anche in una fase di rialzo dei tassi d’interesse. Il merito di questi risultati è stato vostro - della vostra disponibilità a mettere da parte le differenze e lavorare per il bene del Paese, con pari dignità, nel rispetto reciproco. La vostra è stata la migliore risposta all’appello dello scorso febbraio del Presidente della Repubblica e alla richiesta di serietà, al bisogno di protezione, alle preoccupazioni per il futuro che arrivano dai cittadini.
Gli italiani hanno sostenuto a loro volta questo miracolo civile, e sono diventati i veri protagonisti delle politiche che di volta in volta mettevamo in campo. Penso al rispetto paziente delle restrizioni per frenare la pandemia, alla straordinaria partecipazione alla campagna di vaccinazione. Penso all’accoglienza spontanea offerta ai profughi ucraini, accolti nelle case e nelle scuole con affetto e solidarietà. Penso al coinvolgimento delle comunità locali al PNRR, che lo ha reso il più grande progetto di trasformazione dal basso della storia recente. Mai come in questi momenti sono stato orgoglioso di essere italiano. L’Italia è forte quando sa essere unita.
Purtroppo, con il passare dei mesi, a questa domanda di coesione che arrivava dai cittadini le forze politiche hanno opposto un crescente desiderio di distinguo e divisione. Le riforme del Consiglio Superiore della Magistratura, del catasto, delle concessioni balneari hanno mostrato un progressivo sfarinamento della maggioranza sull’agenda di modernizzazione del Paese. In politica estera, abbiamo assistito a tentativi di indebolire il sostegno del Governo verso l’Ucraina, di fiaccare la nostra opposizione al disegno del Presidente Putin. Le richieste di ulteriore indebitamento si sono fatte più forti proprio quando maggiore era il bisogno di attenzione alla sostenibilità del debito. Il desiderio di andare avanti insieme si è progressivamente esaurito e con esso la capacità di agire con efficacia, con
“tempestività”, nell’interesse del Paese. Come ho detto in Consiglio dei Ministri, il voto di giovedì scorso ha certificato la fine del patto di fiducia che ha tenuto insieme questa maggioranza. Non votare la fiducia a un governo di cui si fa parte è un gesto politico chiaro, che ha un significato evidente. Non è possibile ignorarlo, perché equivarrebbe a ignorare il Parlamento. Non è possibile contenerlo, perché vorrebbe dire che chiunque può ripeterlo. Non è possibile minimizzarlo, perché viene dopo mesi di strappi ed ultimatum. L’unica strada, se vogliamo ancora restare insieme, è ricostruire da capo questo patto, con coraggio, altruismo, credibilità.
A chiederlo sono soprattutto gli italiani. La mobilitazione di questi giorni da parte di cittadini, associazioni, territori a favore della prosecuzione del Governo è senza precedenti e impossibile da ignorare. Ha coinvolto il terzo settore, la scuola e l’università, il mondo dell’economia, delle professioni e dell’imprenditoria, lo sport. Si tratta di un sostegno immeritato, ma per il quale sono enormemente grato. Il secondo è quello del personale sanitario, gli eroi della pandemia, verso cui la
nostra gratitudine collettiva è immensa. Questa domanda di stabilità impone a noi tutti di decidere se sia possibile ricreare le condizioni con cui il Governo può davvero governare. È questo il cuore della nostra discussione di oggi. È questo il senso dell’impegno su cui dobbiamo confrontarci davanti ai cittadini.
L’Italia ha bisogno di un governo capace di muoversi con efficacia e tempestività su almeno quattro fronti. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza è un’occasione unica per migliorare la nostra crescita di lungo periodo, creare opportunità per i giovani e le donne, sanare le diseguaglianze a partire da quelle tra Nord e Sud. Entro la fine di quest’anno, dobbiamo raggiungere 55 obiettivi, che ci permetteranno di ricevere una nuova rata da 19 miliardi di euro. Gli obiettivi riguardano temi fondamentali come le infrastrutture digitali, il sostegno al turismo, la creazione di alloggi universitari e borse di ricerca, la lotta al lavoro sommerso. Completare il PNRR è una questione di serietà verso i nostri cittadini e verso i partner europei. Se non mostriamo di saper spendere questi soldi con efficienza e onestà, sarà impossibile chiedere nuovi strumenti comuni di gestione delle crisi.
L’avanzamento del PNRR richiede la realizzazione dei tanti investimenti che lo compongono. Dalle ferrovie alla banda larga, dagli asili nido alle case di comunità, dobbiamo impegnarci per realizzare tutti i progetti che abbiamo disegnato con il contributo decisivo delle comunità locali. Dobbiamo essere uniti contro la burocrazia inutile, quella che troppo spesso ritarda lo sviluppo del Paese. E dobbiamo assicurarci che gli enti territoriali – a partire dai Comuni - abbiano tutti gli strumenti necessari per superare eventuali problemi di attuazione.
Allo stesso tempo, dobbiamo procedere spediti con le riforme che, insieme agli investimenti, sono il cuore del PNRR. La riforma del codice degli appalti pubblici intende assicurare la realizzazione in tempi rapidi delle opere pubbliche e il rafforzamento degli strumenti di lotta alla corruzione.
Dobbiamo tenere le mafie lontane dal PNRR. È il modo migliore per onorare la memoria di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e degli uomini e donne delle loro scorte, a trent’anni dalla loro barbara uccisione. La riforma del codice degli appalti è stata approvata, ed è in corso il lavoro di predisposizione degli schemi di decreti delegati. Questi devono essere licenziati entro marzo del prossimo anno.
La riforma della concorrenza serve a promuovere la crescita, ridurre le rendite, favorire investimenti e occupazione. Con questo spirito abbiamo approvato norme per rimuovere gli ostacoli all’apertura dei mercati, alla tutela dei consumatori. La riforma tocca i servizi pubblici locali, inclusi i taxi, e le concessioni di beni e servizi, comprese le concessioni balneari. Il disegno di legge deve essere approvato prima della pausa estiva, per consentire entro la fine dell’anno l’ulteriore approvazione dei decreti delegati, come previsto dal PNRR. Ora c’è bisogno di un sostegno convinto all’azione dell’esecutivo – non di un sostegno a proteste non autorizzate, e talvolta violente, contro la maggioranza di governo.
Per quanto riguarda la giustizia, abbiamo approvato la riforma del processo penale, del processo civile e delle procedure fallimentari e portato in Parlamento la riforma della giustizia tributaria. Queste riforme sono essenziali per avere processi giusti e rapidi, come ci chiedono gli italiani. È una questione di libertà, democrazia, prosperità. Le scadenze segnate dal PNRR sono molto precise. Dobbiamo ultimare entro fine anno la procedura prevista per i decreti di attuazione della legge delega civile e penale. La legge di riforma della giustizia tributaria è in discussione al Senato, e deve essere approvata entro fine anno.
Infine, l’autunno scorso il Governo ha dato il via al disegno di legge delega per la revisione del fisco.
Siamo consapevoli che in Italia il fisco è complesso e spesso iniquo. Per questo non abbiamo mai
aumentato le tasse sui cittadini. Tuttavia per questo occorre procedere con uno sforzo di trasparenza.
Intendiamo ridurre le aliquote Irpef a partire dai redditi medio-bassi; superare l’Irap; razionalizzare
l’Iva. I primi passi sono stati compiuti con l’ultima legge di bilancio, che ha avviato la revisione
dell’Irpef e la riforma del sistema della riscossione. In Italia l’Agenzia delle Entrate-Riscossione conta
1.100 miliardi di euro di crediti residui, pari a oltre il 60% del prodotto interno lordo nazionale, una
cifra impressionante. Dobbiamo quindi approvare al più presto la riforma fiscale, che include il
completamento della riforma della riscossione, e varare subito dopo i decreti attuativi.
Accanto al PNRR, c’è bisogno di una vera agenda sociale, che parta dai più deboli, come i disabili e gli
anziani non autosufficienti. L’aumento dei costi dell’energia e il ritorno dell’inflazione hanno causato
nuove diseguaglianze, che aggravano quelle prodotte dalla pandemia. Fin dall’avvio del governo
abbiamo condiviso con i sindacati e le associazioni delle imprese un metodo di lavoro che prevede
incontri regolari e tavoli di lavoro. Questo metodo è già servito per gestire alcune emergenze del
Paese: dalla ripresa delle attività produttive nella fase pandemica fino alla sicurezza del lavoro, su cui
molto è stato fatto e molto resta ancora da fare. Oggi è essenziale proseguire in questo confronto e
definire in una prospettiva condivisa gli interventi da realizzare nella prossima legge di bilancio.
Quest’anno, l’andamento della finanza pubblica è migliore delle attese e ci permette di intervenire,
come abbiamo fatto finora, senza nuovi scostamenti di bilancio. Bisogna adottare entro i primi giorni
di agosto un provvedimento corposo per attenuare l’impatto su cittadini e imprese dell’aumento dei
costi dell’energia, e poi per rafforzare il potere d’acquisto, soprattutto delle fasce più deboli della
popolazione.
Ridurre il carico fiscale sui lavoratori, a partire dai salari più bassi, è un obiettivo di medio termine.
Questo è un punto su cui concordano sindacati e imprenditori. Con la scorsa legge di bilancio
abbiamo adottato un primo e temporaneo intervento. Dobbiamo aggiungerne un altro in tempi
brevi, nei limiti consentiti dalle nostre disponibilità finanziarie. Occorre anche spingere il rinnovo dei
contratti collettivi. Molti, tra cui quelli del commercio e dei servizi, sono scaduti da troppi anni. La
contrattazione collettiva è uno dei punti di forza del nostro modello industriale, per l’estensione e la
qualità delle tutele, ma non raggiunge ancora tutti i lavoratori. A livello europeo è in via di
approvazione definitiva una direttiva sul salario minimo, ed è in questa direzione che dobbiamo
muoverci, insieme alle parti sociali, assicurando livelli salariali dignitosi alle fasce di lavoratori più in
sofferenza. Il reddito di cittadinanza è una misura importante per ridurre la povertà, ma può essere
migliorato per favorire chi ha più bisogno e ridurre gli effetti negativi sul mercato del lavoro. C’è
bisogno di una riforma delle pensioni che garantisca meccanismi di flessibilità in uscita in un impianto
sostenibile, ancorato al sistema contributivo.
L’Italia deve continuare a ridisegnare la sua politica energetica, come fatto in questi mesi. Il Vertice di
questa settimana ad Algeri conferma la nostra assoluta determinazione a diversificare i fornitori,
spingere in modo convinto sull’energia rinnovabile. Per farlo, c’è bisogno delle necessarie
infrastrutture. Dobbiamo accelerare l'installazione dei rigassificatori – a Piombino e a Ravenna. Non è
possibile affermare di volere la sicurezza energetica degli italiani e poi, allo stesso tempo, protestare
contro queste infrastrutture. Si tratta di impianti sicuri, essenziali per il nostro fabbisogno energetico,
per la tenuta del nostro tessuto produttivo. In particolare, dobbiamo ultimare l'installazione del
rigassificatore di Piombino entro la prossima primavera. È una questione di sicurezza nazionale.
Allo stesso tempo, dobbiamo portare avanti con la massima urgenza la transizione energetica verso
fonti pulite. Entro il 2030 dobbiamo installare circa 70 GW di impianti di energia rinnovabile. La
siccità e le ondate di calore anomalo che hanno investito l’Europa nelle ultime settimane ci ricordano
l’urgenza di affrontare con serietà la crisi climatica nel suo complesso. Penso anche agli interventi per
migliorare la gestione delle risorse idriche, la cui manutenzione è stata spesso gravemente deficitaria.
Il PNRR stanzia più di 4 miliardi per questi investimenti, a cui va affiancato un “piano acqua” più
urgente.
Per quanto riguarda le misure per l’efficientamento energetico e più in generale i bonus per l’edilizia,
intendiamo affrontare le criticità nella cessione dei crediti fiscali, ma al contempo ridurre la
generosità dei contributi. Come promesso nel mio discorso di insediamento, e da voi sostenuto in
quest’aula, questo governo si identifica pienamente nell’Unione Europea, nel legame transatlantico.
L’Italia deve continuare ad essere protagonista in politica estera. La nostra posizione è chiara e forte:
nel cuore dell’Unione Europea, nel legame transatlantico. La nostra posizione è chiara e forte nel
cuore dell’Ue, del G7, della NATO. Dobbiamo continuare a sostenere l’Ucraina in ogni modo, come
questo Parlamento ha impegnato il Governo a fare con una risoluzione parlamentare. Come mi ha
ripetuto ieri al telefono il Presidente Zelensky, armare l’Ucraina è il solo modo per permettere agli
ucraini di difendersi. Allo stesso tempo, occorre continuare a impegnarci per cercare soluzioni
negoziali, a partire dalla crisi del grano. E dobbiamo aumentare gli sforzi per combattere le
interferenze da parte della Russia e delle altre autocrazie nella nostra politica, nella nostra società.
L’Italia è un Paese libero e democratico. Davanti a chi vuole provare a sedurci con il suo modello
autoritario, dobbiamo rispondere con la forza dei valori europei. L’Unione Europea è la nostra casa e
al suo interno dobbiamo portare avanti sfide ambiziose. Dobbiamo continuare a batterci per
ottenere un tetto al prezzo del gas russo, che beneficerebbe tutti, e per la riforma del mercato
elettrico, che può cominciare da quello domestico anche prima di accordi europei. Queste misure
sono essenziali per difendere il potere d’acquisto delle famiglie, per tutelare i livelli di produzione
delle imprese. In Europa si discuterà presto anche della riforma delle regole di bilancio e di difesa
comune, del superamento del principio dell’unanimità. In tutti questi campi, l’Italia ha molto da dire,
con credibilità, spirito costruttivo, e senza alcuna subalternità.
Ci sono altri impegni che l’esecutivo vuole assumere che riguardano, ad esempio, la riforma del
sistema dei medici di base e la discussione per il riconoscimento di forme di autonomia differenziata.
Tutto questo richiede un Governo che sia davvero forte e coeso e un Parlamento che lo accompagni
con convinzione, nel reciproco rispetto dei ruoli. All’Italia non serve una fiducia di facciata, che
svanisca davanti ai provvedimenti scomodi. Serve un nuovo patto di fiducia, sincero e concreto, come
quello che ci ha permesso finora di cambiare in meglio il Paese. I partiti e voi parlamentari - siete
pronti a ricostruire questo patto? Siete pronti a confermare quello sforzo che avete compiuto nei
primi mesi, e che poi si è affievolito? Siamo qui, in quest’aula, oggi, a questo punto della discussione,
perché e solo perché gli italiani lo hanno chiesto. Questa risposta a queste domande non la dovete
dare a me, ma la dovete dare a tutti gli italiani.
Dopo tanto lavoro di ascolto e studio, di cittadini e professionisti, una mia proposta diventa Progetto di Legge e si apre al dibattito costruttivo per diventare legge, come avevo promesso. Lo Psicologo di Base è un servizio che parte da lontano e vuole dare un senso concreto alle nuove case di comunità, cercando di rispondere alle crescenti esigenze di disagio esasperate dalla pandemia. Abbiamo l’opportunità di rivoluzionare il sistema sanitario regionale e di introdurre per legge la tutela della salute mentale. Un passo in avanti importante, che non dimentica le vere urgenze dei nostri tempi come le infinite liste d’attesa o la carenza dei medici di base. Grazie alla collaborazione con la collega Simona Tironi iniziamo un percorso che mi rende particolarmente orgoglioso. Alle 12 la conferenza stampa di presentazione!
Abbiamo presentato la proposta di legge per istituire la figura dello Psicologo delle Cure primarie in Regione Lombardia. Un percorso che nasce per rispondere alle tante richieste di aiuto pervenute dopo l’emergenza pandemica e per sconfiggere lo stigma che ancora allontana tante persone ai percorsi di cura e di prevenzione.
La legge, scritta con l’Ordine degli Psicologi lombardi e la Presidente dell’Ordine Laura Parolin prevede un finanziamento di 12 milioni di euro per ogni anno e intende insediare questo servizio all’interno delle nuove case della comunità che stanno nascendo in Lombardia
Un grazie speciale ad Aurora Ramazzotti, testimonial del progetto, per aver scelto di accompagnarci in questo percorso di condivisione e di sensibilizzazione.
Durante la conferenza abbiamo presentato dei dati che fotografano una situazione drammatica nel mondo e in Italia, Paese fortemente colpito durante la prima durissima ondata di Covid-19. Secondo uno studio di Humanitas University, ad esempio, le persone che fanno uso di sostanze antidepressive, ansiolitici o sonniferi sono aumentate con percentuali davvero allarmanti. Si parla infatti di un 14% di persone che hanno iniziato ad utilizzare sonniferi durante il primo lockdown e di un 10% che ha iniziato, sempre nel periodo di inizio 2020, a fare uso di antidepressivi. Per quanto riguarda l’ansia, sempre Humanitas University, ha comunicato che il 21% degli intervistati ha avuto sintomi clinicamente rilevanti, mentre una persona su 10 ha avuto un attacco di panico per la prima volta durante il primo lockdown del 2020.
Per dare alla proposta una base concreta, è stato ripreso anche lo studio portato avanti dal Bambin Gesù di Roma che, durante il 2021, ha registrato il 100% dei posti letto occupati in Neuropsichiatria infantile e un incremento del 30% relativo ai tentativi di autolesionismo rispetto al periodo pre pandemico. Sempre nel 2021, l’ospedale, ha registrato un aumento delle ospedalizzazioni di quasi il 50%. “Numeri che nascondono la grandissima sofferenza della popolazione, dei giovani e delle famiglie a cui la politica deve saper dare risposte concrete come questo progetto di legge” commenta Carretta che prosegue “Abbiamo previsto, insieme all’Ordine degli Psicologi lombardi, che ringrazio per il supporto tecnico, 12.000.000 di euro per ogni anno e abbiamo cercato di individuare già nelle case di comunità che stanno nascendo i luoghi fisici che potranno ospitare queste prestazioni gratuite per i cittadini”.
Per affrontare la lettura dell’attuale grave situazione di conflitto in Ucraina, a seguito dell’invasione della Russia, ci sono – secondo me – alcune considerazioni preliminari che riguardano da vicino noi cittadini e cittadine dell’Unione europea e che oggi è importante non sottovalutare.
Il processo di integrazione dell’Unione europea sta scoprendo le proprie debolezze. Non si tratta di una consapevolezza maturata nelle ultime settimane, ma dell’eredità decennale di scelte monetarie e commerciali che non hanno saputo stare al passo con una reale coesione politica e sociale dei Paesi membri: decenni di asimmetrie economiche e finanziarie venutesi a creare tra i paesi aderenti, cui fisiologicamente sono conseguite tensioni sociali, nonché la crescita di consenso dei movimenti populisti, hanno esacerbato la difficoltà di trovare una convergenza di intenti e di politiche tra i principali attori del processo di unificazione europea.
Oggi, si registra l’urgenza, necessaria e ineludibile, di completare l’unione monetaria con l’unione politica – un desiderio che storicamente si è scontrato, in molti settori, con la ritrosia degli Stati a cedere parte della propria sovranità nazionale a favore del livello unionale. L’Unione europea e i suoi meccanismi, in più occasioni, si sono rivelati deboli e paralizzati da un modello istituzionale e politico ibrido che non sta reggendo gli stress sociali, umanitari, economici, pandemici e ora militari del nostro tempo.
I Paesi dell’Unione registrano tendenze demografiche preoccupanti, che hanno portato la quasi totalità dei sociologi a prevedere catastrofiche conseguenze sul nostro sistema sociale e economico. Come europei siamo sempre di meno, sempre più anziani e, spesso, più divisi: un mix che si traduce nell’estrema debolezza dimostrata durante la crisi dell’euro (Grecia), quella umanitaria dovuta all’immigrazione, ma anche durante la crisi pandemica da Covid-19 e quella legata all’ambiente e al surriscaldamento globale.
I nostri standard di vita, le norme che regolano la quotidianità degli europei e la atavica abitudine a procrastinare scelte cruciali per il nostro futuro hanno lasciato che la Cina, ad esempio, diventasse la “fabbrica del mondo” e che invadesse commercialmente l’Africa con un enorme piano di investimenti che sfrutta tutte le risorse di quel territorio, risorse di cui noi non disponiamo e di cui ce ne siamo, per anni, disinteressati, oltre che Paesi dei Balcani come Montenegro e Serbia definiti da editori e analisti come “Stati clienti” cinesi.
Mentre in Italia e negli altri Paesi dell’Unione si discuteva di temi ideologici, come l’uscita dell’Italia dall’Ue auspicata da Partiti e politici che oggi si ergono a paladini di pace, diplomazia e dialogo, sono cresciuti veri e propri colossi economici come la già citata Cina, ma anche l’India e la Russia: economie squilibrate, fuori controllo e noncuranti degli aspetti umani ai quali noi, per fortuna, ancora crediamo.
In America, dall’elezione di Obama, fino ad arrivare all’apice del trumpismo, gli americani hanno votato chiedendo sempre più ad alta voce il disimpegno militare ed economico in territori lontani: un mandato che ha spinto le diverse amministrazioni a ricercare forme di autosostentamento e a disinteressarsi dei temi legati al ruolo di egemone che, ancora oggi, gli Stati Uniti ricoprono.
Non aver saputo leggere questi cambiamenti, non essersi dotati di strumenti per affrontare queste e altre criticità dell’epoca che stiamo vivendo ci ha guidato inesorabilmente verso un precipizio.
In tutto questo, Putin e la “sua” Russia ha capito e ha colto le nostre debolezze, le nostre divisioni e le nostre “dipendenze” e da anni, non da oggi, sta forzando l’ordine mondiale formatosi dopo la Guerra Fredda.
L’Ucraina è solo il campo di battaglia di una guerra che Putin ha avanzato e sta avanzando contro un Occidente più debole e diviso che mai.
In questi anni, obnubilati da una classe politica sempre più scarsa e vorace, abbiamo completamente trascurato la questione energetica abbandonando l’energia nucleare e diventando i principali clienti di Stati illiberali o instabili come Russia, paesi del Nord Africa e del Medioriente, senza porci mai il tema dell’autonomia energetica europea che non può che essere garantita da un mix tra energia nucleare, gas naturale europeo e fonti rinnovabili, che richiedono forti investimenti sia sulle tecnologie che sull’infrastruttura elettrica.
Come può leggere, non risparmio critiche all’Occidente e all’Europa, che di errori ne hanno fatti in tutti i campi. La questione dell’Oggi, però, ci deve dare la forza per completare il percorso unitario europeo, in ottica federativa almeno per i Paesi fondatori, che si sviluppi attorno ad una logica legata alle diverse velocità economiche e sociali dei singoli Stati: i più veloci, Paesi fondatori, ora devono mettere in comune le proprie forze di Difesa e iniziare davvero il percorso federativo verso gli Stati Uniti d’Europa; i più lenti, di successiva adesione, devono il prima possibile raggiungere livelli omogenei su tutti i pilastri di Stati europei, moderni e civili.
L’esperienza di dipendenza dal gas russo ci deve presto far agire per ricostruire, ovunque possibile, filiere industriali europee meno esposte alle fluttuazioni di mercati che non possiamo controllare; filiere che puntino alla sostenibilità ambientale ed economica e che vedano nel nucleare di ultima generazione una risorsa per la transizione ecologica.
Nel frattempo, io credo sia nostro dovere aiutare, nell’ambito dei trattati internazionali vigenti, un Paese libero di autodeterminarsi e libero di resistere ad un’invasione premeditata che sta infrangendo ogni elemento di diritto internazionale del sistema che regola i rapporti tra gli Stati.
Cedere a questo tipo di invasioni vorrebbe dire dare il via libera all’anarchia internazionale e darebbe la possibilità a Paesi poco affidabili di sfidare l’ordine mondiale, aprendo a scenari, economici e di guerra, devastanti e a cui non voglio nemmeno pensare.
Occorre però anche mettere in campo ogni sforzo diplomatico per fermare questa barbarie e per scongiurare un ulteriore catastrofico allargamento del fronte che trascinerebbe il mondo intero in un conflitto ancora più devastante.